OGGI VENTICINQUE ANNI DALLA STRAGE DI CAPACI

“E’ morto, è morto nella sua Palermo, è morto fra le lamiere di un’auto blindata, è morto dentro il tritolo che apre la terra, è morto insieme ai compagni che per dieci anni l’avevano tenuto in vita coi mitra in mano. E’ morto con sua moglie Francesca. E’ morto, Giovanni Falcone è morto”.

Così si apre l’articolo de “La Repubblica” del 24 maggio 1992 che annuncia la morte, avvenuta il giorno precedente, del magistrato Giovanni Falcone.
Era nato a Palermo il 18 maggio del 1939, terzo figlio, unico maschio, di Arturo Falcone e Luisa Bentivegna. Grazie proprio alla madre, che gli raccontava degli zii morti in battaglia, il piccolo Giovanni era cresciuto con un profondo senso del sacrificio e del dovere.
Studiò al liceo classico Umberto I e ne uscì a pieni voti; successivamente si iscrisse all’Accademia Navale e fu assegnato immediatamente allo Stato Maggiore perchè aveva attitudine al comando. Quel ruolo non faceva per lui, andò all’università e seguì gli studi di Giurisprudenza, sapendo già che sarebbe diventato magistrato.
Nel 1964 sposò la sua prima moglie Rita e l’anno dopo ottenne il primo incarico come pretore a Lentini;  nel 1967 fu trasferito a Trapani e durante il processo contro le cosche del trapanese avvenne il suo primo incontro con la mafia. Nel 1979 si separò dalla moglie ed al fianco del giudice Rocco Chinnici iniziò a costruire la nuova lotta alla mafia.
Nel 1980 durante le indagini sul clan Spatola-Inzerillo gli venne assegnata una scorta; nello stesso periodo conobbe Francesca Morvillo, magistrato della Procura dei Minori, con cui si sposò nel maggio del 1986.
A causa delle condanne seguite al processo Spatola, la mafia reagì con una serie di numerossissimi attentati  (tra cui quello che costò la vita a Carlo Alberto Dalla Chiesa) culminati con l’uccisione del giudice Chinnici; poco dopo Falcone entrò a far parte del pool antimafia insieme a Giuseppe di Lello, Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta.
Nel 1986 iniziò il primo maxiprocesso a Cosa Nostra e Giovanni Falcone divenne il simbolo del riscatto dello Stato e della Sicilia, ma poco dopo i suoi superiori mandarono in frantumi il suo lavoro distribuendo i processi in diversi uffici. Nel 1989 Falcone viene addirittura accusato da lettere anonime di aver fatto tornare in Italia il pentito Salvatore Contorno.

 Il 20 giugno 1989 un borsone con della dinamite viene ritrovato sulla scogliera dove Falcone era solito andare a fare il bagno, nella sua villa dell’Addaura; fortunatamente l’attentato fallì e poco dopo Giovanni venne nominato procuratore aggiunto di Palermo.
Nel 1991 prese servizio nel ruolo di Direttore degli Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia, dove istituì la Direzione Nazionale Antimafia o Superprocura. In questi anni era cresciuto l’odio della mafia e della politica corrotta verso Giovanni Falcone, il quale era consapevole che prima o poi sarebbe stato vittima di un attentato, ma andò avanti per la sua strada.
Il 23 maggio 1992 Giovanni e la moglie Francesca, di ritorno da Roma, atterrarono a Palermo dove li aspettavano tre auto, una marrone, una bianca e una azzurra: nella prima viaggiavano gli uomini della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro; quella bianca era guidata da Falcone con accanto sua moglie e sul sedile posteriore un altro agente; nella terza viaggiavano altri quattro agenti.
Stavano percorrendo l’autostrada che conduce a Palermo, ma allo svincolo per Capaci, una tremenda esplosione. L’auto marrone saltò in aria e gli agenti morirono sul colpo.  L’auto bianca si schiantò sul muro d’asfalto alzato dall’esplosione, ma Giovanni e Francesca non indossavano le cinture e l’impatto fu tremendo. Falcone e sua moglie vennero trasportati all’ospedale civico di Palermo, dove alle 19:05, un’ora e sette minuti dopo l’attentato, Giovanni Falcone morì; poche ore dopo morì anche Francesca Morvillo. 

Giovanni Falcone ha dato la sua vita per combattere la mafia, ma ci ha insegnato che “La mafia non  è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.”

(Per approfondimenti: fondazionefalcone.it)


Sara M.

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